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Pittura Mostra a SivigliaTHEREZA MARIA ALVES: LA LUNGA STRADA PER MESSICO (1991-2014)
Fino al 31 Maggio 2015 presso il Museum of Contemporary Art

Nato in Brasile (1961), ha studiato negli Stati Uniti e ha vissuto a Cuernavaca, Bruxelles, Berlino e l’Italia meridionale. Genericamente, Alves definisce la sua pratica come segue: Le mie opere che indagano i fenomeni sociali e culturali che mettono in discussione ciò che pensiamo di sapere e chi pensiamo di essere e di concentrarsi su dove siamo e chi siamo, veramente, in questo momento.

La lunga strada verso Xico è una retrospettiva che esamina la sua carriera attraverso una selezione di opere risalenti al 1991. Alves è un artista pioniere nel dibattito postcoloniale che si è formata a New York negli anni ’80 (dove emigrò dalla ragazza con i genitori) ; prima al prestigioso Cooper Union e poi all’interno di diversi progetti indipendenti sulla Lower East Side, la galleria Kenkeleba, che rappresentava un’alternativa alla scena alternativa, quando gli artisti indigeni, gli americani Latino o afro sofferto marginalizzazione dello stabilimento culturale. Il suo lavoro risponde, quindi, a una tradizione concettuale diverso associato personaggi come Jimmie Durham, David Hammons e Juan Sanchez, attività a Manhattan in quel momento.
Questo ultimo progetto, per la sua profonda connessione con la Spagna. Il ritorno di un lago racconta la storia della valle di Xico, una borgata alla periferia di Città del Messico situato accanto a uno dei laghi che a volte, facevano parte della capitale dell’impero azteco. Alla fine del XIX secolo, lo spagnolo Inigo Noriega arrivato immigrati Xico e prosciugato il lago, chiudendo così un ciclo di distruzione ecologica e di emarginazione sociale, che ha avuto inizio con l’arrivo di Hernán Cortés e dei suoi soldati.

Attraverso questo lavoro e un altro 17, Alves propone un dibattito su due temi che sono cruciali per la cultura contemporanea e la Spagna, in particolare: la necessità di sviluppare una nuova sensibilità nei confronti della natura, da un lato, e l’urgenza riscrivere la storia coloniale, dall’altra. Due compiti senza dubbio trovato sull’isola del Guadalquivir in cui Colombo fu sepolto e dove suo figlio ha piantato un centenario Ombú, la cui ombra ancora ci ripara, il luogo ideale da cui partire per ripensare dove siamo e chi siamo, in questo momento.

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